sabato 23 gennaio 2010

La prostituzione forzata nei lager nazisti in mostra

In molte mi hanno segnalato (ma ne avevo del resto anche letto in diversi blog e siti) della mostra che si apre oggi (e andrà avanti fino al 14 febbraio) presso il Museo della Liberazione di Via Tasso a Roma: Sex-Zwangsarbeit in NS-Konzentrationslagern (La Prostituzione forzata nei lager nazisti). Organizzata da Be Free (Cooperativa Sociale contro tratta, violenze e discriminazioni), la mostra (creata dal gruppo viennese "Die Aussteller" e alcune ricercatrici della Universität der Künste di Berlino) viene presentata nei lanci di stampa come una mostra che per la prima volta in Italia "illustra la costrizione alla prostituzione subita da molte prigioniere del regime nazista e rende nota una pagina di estrema crudeltà rimasta finora nascosta alla conoscenza e alla coscienza civile e politica del nostro paese. [...] Ospitata per circa due anni presso il campo di concentramento femminile di Ravensbrück, la mostra contiene circa 200 pannelli con interviste a testimoni del tempo e documentazione sull'organizzazione burocratica della prostituzione forzata, comprese copie dei "buoni premio" che i prigionieri di sesso maschile ricevevano dalle SS per una "visita al bordello" come ricompensa per la buona condotta all'interno della macchina lavorativa concentrazionaria. Offre altresì materiali di conoscenza importanti per capire la valenza dell'istituzionalizzazione della prostituzione forzata nell'ambito del regime nazionalsocialista, come elemento teso a creare consenso e a rafforzare la dittatura". Mi piacerebbe vederla per capire come è stato affrontato (se è stato affrontato) il problema del rischio di "spettacolarizzazione" (forse non è il termine giusto, chiedo venia, ma spero si comprenda quanto voglio dire) connesso all'utilizzo in uno spazio pubblico di immagini di donne che subiscono forme di violenza così estreme (una questione che mi ero posta, insieme alla curatrice, quando avevamo presentato la mostra Le SS ci guardavano: per loro eravamo come degli scarafagg all'interno dell'iniziativa Donne e lesbiche negli anni del nazifascismo). E mi interesserebbe anche (e soprattutto) sapere /discutere (non ho trovato traccia in rete di riflessioni di questo tipo) come le organizzatrici italiane (che operano con la loro cooperativa nel Cie di Ponte Galeria a Roma) si pongono , a partire dalla loro esperienza, rispetto "all'oggetto" della mostra
.

29 commenti:

Anonimo ha detto...

non ci sono immagini di violenze sulle donne per quel che ne so io.
baci.rho.

Rosetta ha detto...

Come sempre mi fai pensare. intanto hai ricevuto il programma dell'incontro di presentazione della mostra di mercoledì 27? Pensi di esserci? Ti copio-incollo il programma:


"Il corpo delle donne come bottino di guerra: stupri e prostituzione coatta"

Ore 12.00 Conferenza stampa di inaugurazione:
Lunch
Ore 15:00 Tavola Rotonda:
Partecipano
Antonella Petricone (dottore di ricerca in Storia delle Scritture femminili, Università di Roma “La Sapienza” - socia Be free)
Titolo dell’intervento: Ravensbrück «L’inferno delle donne»
Fiorenza Taricone (Docente di Storia delle dottrine politiche
Università di Cassino, Presidente dell'UniCpo(Associazione
Nazionale Coordinamento Comitati Pari Opportunità) :
Titolo dell’intervento: Donne e Resistenza: le madri della Repubblica
Paola Di Cori: (Studiosa di culture queer e post-coloniali. Ha insegnato e svolto ricerche in diverse università italiane ed estere e pubblicato molti saggi sul genere, la storia delle donne e gli studi culturali.)
Titolo dell’intervento: Memoria e stereotipi di genere. Le ebree nate dopo la Shoah
Monica Cristina Storini (Docente di Letteratura italiana, Università di Roma “La Sapienza”, esperta di scritture femminili):
Titolo dell’intervento: Letteratura, Memoria, Trasmissione
Oria Gargano: (Presidente Coop. Soc.Be Free, Cooperativa contro tratta, violenze, discriminazioni)
Titolo dell’intervento: Le donne del campo di Solofra
Biliana Ljubisavljevic: (mediatrice culturale-socia Be Free)
Titolo dell’intervento: Lo stupro "etnico" nella Ex Jugoslavia
Federica Ruggiero: (sociologa-socia Be Free)
Titolo dell’intervento: Lo stupro delle donne rwandesi durante il genocidio del 1994
Coordina: Angela Ammirati (giornalista)

Anonimo ha detto...

"...come le organizzatrici italiane (che operano con la loro cooperativa nel Cie di Ponte Galeria a Roma) si pongono, a partire dalla loro esperienza, rispetto all'oggetto della mostra"...
Ho visto che Befree ha posto degli interrogativi sulla tratta che le donne nigeriane subiscono in Libia e sul rischio di sfruttamento della prostituzione nel territorio italiano(la cui documentazione è stata raccolta nel CIE), ma penso che se parlassero di quello che avviene all'interno dello stesso, non potrebbero più operarvi (se ho capito quello che intendevi)!

Marginalia ha detto...

Per Rho: grazie tesora, in effetti vorrei proprio vederla, spero di farcela a venire a Rm prima della chiusura. Magari ci vediamo?
;-)

Per Rosetta: grazie anche a te. Il programma del convegno è veramente interessante, peccato non poterci essere. Ho già contattato Antonella e spero che sul tema si apra una discussione che cerchi di affrontare anche le forme attuali di violenza sulle donne in altre istituzioni totali odierne come carceri e Cie

Anonimo ha detto...

stamattina sono proprio andata a vedere la mostra. Confermo che le poche immagini mostrate sono solo degli edifici o dei luoghi dove quegli edifici era situati. mi è sembrata ricca di materiali e di spunti, peccato non saper leggere il tedesco perchè le copie dei documenti erano in lingua originale. Ma vi assicuro che è bastato per immaginare l'orrore.

Marginalia ha detto...

Per Anonima (sei ancora Rho?): mi fa piacere, questo dimostra che c'è stato da parte delle ricercatrici (e ricercatori) che hanno curato la mostra attenzione a questo aspetto cruciale. Resta il problema che mi piacerebbe approfondire di coem si pongono rispetto all'oggetto della mostra le organizzatrici italiane che operano all'interno di un'altra istituzione totale, quella dei Cie. la realtà dei Cie, senza essere "sovrapponibile" a quella dei lager, è una realtà estremamente violenta, nella quale prigioniere e prigionieri subiscono ogni genere di soprusi, anche sessuali (come ben sappiamo ...)

Per Angie: scusami del ritardo della risposta, vedo il tuo commento solo ora (inspigabilmente era finito nello spam). Quello che mi chiedevo era precisamente come le organizzatrici che operano in un Cie (dove le donne rinchiuse se non subiscono forme di prostituzione forzata sono comunque oggetto di soprusi e violenze anche di tipo sessuale da parte del "personale" maschile)si pongano a partire dalla loro esperienza diretta verso l'oggetto della mostra (o/e viceversa). Quello che mi aveva ad esempio colpito molto del loro dossier era l'assoluta mancanza di riferimenti alle violenze che le donne migranti subiscono all'interno dei Centri di identificazione ed espulsione

Franci ha detto...

Secondo me inutile girarci intorno: ma come possono delle donne lavorare oggi in un Cie con attività rivolte anche agli aguzzini? Mi sembra contraddittorio fare le mostre sulle violenze subite dalle donne nei campi di concentramento nazisti e poi non dire una parola su quelli attuali. Scusami se sono un po' grezza, tu invece sei molto brava e ti seguo sempre

Unknown ha detto...

non sarà questa indignazione diffusa a tirare fuori le donne vittime di tratta da dentro ai cie, ma il lavoro di sostegno psicologico legale e quant'altro di chi ogni giorno con questa realtà ha scelto di confrontarsi. per aiutare le donne che soffrono in questo momento. Il resto è teoria. E sulla teoria siamo tutte d'accordo, i cie sono una vergogna e andrebbero chiusi da stasera. ma finché sono aperti, bisogna rispettare chi si sforza di dare aiuto a chi è rinchiuso là dentro. Cosa che comporta anche un inevitabile contatto con le strutture che li gestiscono.

Anonimo ha detto...

sono rho [@ marginalia: no il secondo anonima non ero io! :)].
la mostra purtroppo non l'ho ancora vista (@ marginalia: e se scendi aroma per vederla fai sapere, magari ci incontriamo!).
Da persona non coinvolta direttamente nei fatti, ma che conosce di persona alcune delle persone che compongono befree, posso immaginare tranquillamente che opinione abbiano rispetto all'oggetto della mostra e anche rispetto al cie di ponte galeria e a tutti gli altri. E non credo ci sia bisogno di illustrarvela.
Dopo di che il discorso delle contraddizioni è un discorso mai risolto su parecchi fronti. Per parlare terra-terra (che c'è pure questo livello e fa male parecchio) io, se fossi una persona reclusa nei cie, probabilmente preferirei continuare a relazionarmi con qualcuna di una coop. come befree, credo, eh! E' difficile fare qualcosa di concreto, e si prova, si va avanti e ci si espone anche all'errore. Probabilmente funzionano meglio i consigli e le proposte piuttosto che le espressioni giudicanti. Potremmo pensare delle strategie alternative al lasciare le persone rinchiuse e isolate nei cie e noi esclusivamente a denunciare e a gridare fuori. Adottare esclusivamente questa strategia non credo sia sufficiente. ...Che ne pensate voi? rho.

Anonimo ha detto...

sul tema, ricevo e giro. rho.


"27 GENNAIO 2010, GIORNATA DELLA MEMORIA
I LAGER ESISTONO ANCORA...
CHIUDERE IL CIE DI PONTE GALERIA!

presidio al Ponte dell’Industria
via di Porto Fluviale, ore 15 (zona ostiense)

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Ricordando le donne uccise per il pane dai fascisti e dai nazisti
e le donne rinchiuse nei CIE


27 Gennaio Giornata della Memoria
Per costruire un futuro di diritti rispettati


Attraversiamo quotidianamente la nostra città e ci rendiamo conto di
quanto questa sia ricca di segni e simboli, più o meno nascosti, che
parlano della sua storia e delle sue trasformazioni.
Il cambiamento, del resto, è elemento centrale di una società viva.
La costruzione di un percorso storico, la continua revisione degli
elementi e la loro discussione in ambiti collettivi sono uno degli
antidoti
alle possibili manipolazioni; la memoria diviene elemento costitutivo del
ragionare il presente e immaginare il futuro in una continua dialettica.
Il 27 gennaio è il giorno della memoria della Shoah e può essere giorno di
riflessione.
A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere che "ogni straniero
è nemico". Per lo più questa convinzione è solo latente e non è sistema di
pensiero. Ma quando il pensiero inespresso diventa premessa di un
sillogismo, allora, al termine della catena, c´è il Lager. Questo è
successo in Italia nel 1938 con le leggi razziali, questo è successo con i
campi di sterminio nazisti ma questo può succedere se il sillogismo viene
riproposto oggi. "Tutti gli stranieri sono nemici. I nemici vanno
soppressi. Tutti gli stranieri vanno
soppressi."
Noi Madri per Roma Città Aperta riteniamo che proprio nel ricordare la
storia dei campi di sterminio avvertiamo un sinistro segnale di pericolo.
Risentiamo oggi quel sinistro segnale in ciò che ha provocato atti di
violenza contro rom, sinti e cittadini italiani di origine straniera.
Lo risentiamo nel clima d´intolleranza verso gruppi etnici o sociali non
dominanti e vulnerabili e nella criminalizzazione dell´immigrazione
irregolare.
Lo risentiamo nei dispositivi che incidono lo stigma sociale anche sui
corpi degli "altri": schedature e impronte digitali "etniche" in fondo
sono
l´equivalente funzionale della stella gialla.
Lo risentiamo nella creazione dei Centri di Identificazione e di
Espulsione, dove la marchiatura simbolica vale a differenziare e separare
i
corpi proliferanti e minacciosi da quelli "normali".
Con Primo Levi ricordiamo quanto è già successo:
considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no
Vogliamo ricordare oggi, giorno della memoria, gli uomini discriminati,
rinchiusi e sterminati ieri e gli uomini discriminati, offesi e privati di
ogni diritto oggi."

27 Gennaio 2010 sul Ponte dell’Industria via di Porto Fluviale,
ore 15 (zona ostiense)

Comitato Madri per Roma Città Aperta
madrixromacittaperta@libero.it
http://madrixromacittaperta.noblogs.org

Marginalia ha detto...

Per Franci: non voglio "girarci intorno", ho solo posto quella che mi sembra una contraddizione, intorno alla quale mi interessava confrontarmi con altre, senza nessun intento "giudicante" ...

Per Eutyches: nessuna volontà di "mancare di rispetto" ad alcuna, credimi. Ma veramente la volontà di interrogarsi e interrogare (far pensare) anche altre. La politica dell'"umanizzare i Cie" la trovo quantomeno rischiosa, ma certo sono aperta a confrontarmi anche con chi ha modalità diverse
Le mie del resto, e per fortuna, non sono mai date una volta per tutte, ma le metto in discussione ogni giorno anche grazie al confronto con altre

Per Rho: da parte mia auspicherei un confronto (che certo non può svolgersi qui in un blog), un'assemblea nazionale magari ...
Intanto grazie del documento, pubblicato!

Unknown ha detto...

"Umanizzazione dei CIE"? Forse non è chiaro che le donne che lavorano nei CIE non vanno là a portare tè, biscottini e coperte all'uncinetto. Ma a mettere in atto percorsi di sostegno e di liberazione. Per consentire alle donne vittime di tratta di uscire e risiedere legamente in Italia (qualche legge sensata cui fare appello, per fortuna, c'è).
Ma quand'anche fosse, che problema ci sarebbe? Sinceramente, mi spaventa un po' la crudeltà sottesa a queste affermazioni. Spiegatemi, le persone debbono continuare a vivere in condizioni disumane solo perché noi possiamo lamentarci meglio e levare i nostri cori indignati? La segregazione nei CIE di uomini, donne e trans sarebbe ingiusta anche se li tenessero ad ostriche e champagne.
A seguire questi ragionamenti anche Oskar Schindler sarebbe solo uno sporco collaborazionista.
Io credo che tra il fare tutto (fin quando fare tutto non è possibile) e il non fare nulla e discutere solamente ci siano tante possibili modulazioni eticamente valide.
E poi, aggiungerei, quante donne saranno state rimpatriate in Libia, a casa dei loro carnefici, quando noi ancora staremo registrando le relatrici dell'assemblea nazionale? E ancora, quand'anche quest'assemblea nazionale partorisse una soluzione, che valore avrebbe, come potrebbe essere messa in pratica senza un confronto con le istituzioni che gestiscono le strutture e con quelle che ne regolamentano il funzionamento? Chi si farà carico di ciò? Che peso politico (e qui intendo quello nella politica coi voti e le leggi) ha questa discussione? Arriva a modificare concretamente le condizioni di vita delle persone?
Credo che le donne che sono in questo momento in un CIE non possano permettersi il lusso di aspettare che anche noi decidiamo cosa si debba fare dei loro corpi.
Ci sono metodi legali per farle uscire da là dentro. Applichiamoli. Se poi è la parola «legale» che ci turba, perché non è abbastanza romantica e avventurosa... allora questo è un altro paio di maniche.
Soprattutto, a mio avviso ha poco senso criticare chi, nelle more della lotta per i diritti civili, un po' di donne da quell'inferno le sta davvero tirando fuori.

Marginalia ha detto...

Eutyches ascolta: francamente non capisco perché stai "alzando i toni" in una discussione che mi sembrava nata da domande/dubbi poste da me in maniera pacata ed estremamente colloquiale e rispettosa. Non usiamo a vanvera ti prego la parola crudeltà, sempre che non riteniamo che non sia legittimo porsi domande anche "difficili".
Con "umanizzare i Cie" mi riferivo non ai pasticcini e alle coperte fatte all'uncinetto,ma a una modalità, fatta propria anche dalla sinistra (e da donne che lavorano all'interno dei Cie), operativa da oltre un decennio con conseguenze nefaste.
Inoltre non si può parlare di "donne che lavorano nei Cie" in maniera generica, ci sono pratiche e modalità diverse e piuttosto che fare discorsi generici auspicavo un confronto costruttivo con una determinata realtà (che sarà diversa da altre) proprio per capire come si pongono (in quanto donne, femministe, antirazziste ...) rispetto a una serie di problemi
Problemi che sono molteplici e non liquidabili in slogan o accuse generiche contro chi (in questo caso io) pongo delle questioni che credo importanti
Se parlavo di assemblea nazionale è perché il dibattito non può svolgersi in un blog, e neanche tra te e me o poche altre
Infine (e mi sembra importante) io non parlo da una posizione "esterna" rispetto al problema del razzismo istituzionale e dei Cie. Qualcosa tento, con immane fatica, di fare, commettendo magari anch'io errori a mia volta. Benvenuta a chi me li fa notare, ma senza liquidare quanto dico come "crudele" o non "rispettoso" del percorso di altre donne

Unknown ha detto...

Non desidero alzare i toni, solo scendere a un livello di concretezza. Ho iniziato a seguire questa discussione a dire il vero per tutt'altro motivo, non per i cie, ma per la recensione della mostra sulla prostituzione nei lager. Quando però ho letto l'intervento di franci mi son sentita di rispondere direttamente. Perché conosco personalmente donne che lavorano a Ponte Galeria, a Roma. E m'è capitato più di una volta di raccogliere il loro senso di impotenza, mentre cercano di applicare articoli e cavilli per fare uscire questa o quest'altra donna che è in situazione di rischio, o per l'impossibilità concreta di parlare in prima persona, nel momento in cui le recluse non decidono di sporgere denuncia. Perché nel silenzio delle donne interessate (o meglio vittime), la parola delle operatrici conta come due di bastoni con briscola a coppe. Eppure la speranza è che prima o poi qualcosa esca fuori, ufficialmente e legalmente. E nel mentre, i dati raccolti, tutti quelli possibili, finiscono nelle relazioni, nei dossier e in quelle pratiche di comunicazione e denuncia che possono mettere in atto.
Dopodiché non penso che tu non faccia nulla o che sia sterile il dibattito da te aperto, anzi, se sono tornata a leggere e ad intervenire è perché ritengo che parlare di questioni come queste, in un luogo virtuale cui accedono moltissime donne (e che per questo è di per sé preziosissimo), sia importante. Importante per capirsi e per non fraintendere quello che fanno le altre persone in concreto, nel loro impegno di tutti i giorni.
Mi dispiace, però, quando (e capita spesso) le iniziative di altre donne (e non solo) vengono considerate non sufficientemente 'dure e pure', a prescindere da una reale conoscenza, per il fatto stesso che il contatto con le istituzioni diviene sinonimo di collusione più o meno interessata.
Le conseguenze nefaste, però, io temo provengano da altro, ovvero dal fatto che in Italia sono decenni che si sfila, si manifesta, si protesta, ma i milioni di persone in piazza non valgono e non bastano, perché non c'è chi traghetti le loro richieste in altre sedi, quelle in cui si decide se cambiare o meno e come. E mi riferisco anche, per esempio, alla questione dell'eutanasia, della RSU 486, delle rivendicazioni glbtqi... insomma a tutta quella galassia di diritti civili e sociali che ci vedono in europa fanalino di coda. I cie e in generale i diritti degli immigrati sono un'altra faccia (purtroppo estremamente dolorosa) di questa sfaccettatissima medaglia, un'altra sulla quale pesa fortemente il silenzio e la disinformazione.
Per questo prima chiedevo: ok, si fa l'assemblea, ma dopo? Magari il tono m'è scappato un po' 'alto'... Ma credo che ci sia da trovare una soluzione a questo, c'è da capire dove e come la 'macchina' si inceppa. I partiti e i politici sono quello che sono, va bene. Però, per esempio, dov'è oggi la marea immensa di persone che ho visto alla manifestazione pro-immigrati di qualche mese fa a roma? come si possono mettere a regime e canalizzare in maniera proficua le loro energie? Non so voi, ma io sono arci-stanca di sfilare e manifestare e poi tornare a casa, prendermi il trafiletto e due foto su repubblica e poi stare tale e quale a prima. Il problema è che mentre tutt* stiamo a fare le bucce sulle iniziative altrui ci ritroviamo a perdere di vista il fine, cioè la pressione per il cambiamento. Che non può che essere costante e di massa e non divisa in mille rivoletti che poco si parlano e meno si conoscono. Ma la massa chiama inevitabilmente il compromesso. Che è tra le teorie, che alla fine sono tante quante le teste che sfilano, e con chi si deve fare carico di trasformarle in pratica. Davanti a questo, come ci si deve porre?

PS: Comunque, ieri, durante la conferenza stampa di presentazione della mostra sulla prostituzione forzata nei lager e nel successivo pomeriggio di relazioni, si è parlato anche di CIE e non con toni idilliaci.

BE FREE ha detto...

Care compagne di Marginalia,
abbiamo letto alcune delle questioni sollevate dalla segnalazione della Mostra da parte di Vincenza Perilli sul suo blog e le considerazioni che ne sono seguite e ci sentiamo di rispondere con le seguenti riflessioni, aperte comunque al confronto e pronte a metterci in discussione con le compagne che dimostrino la stessa volontà nei confronti di realtà che spesso non si conoscono fino in fondo, convinte del fatto che siano tante le azioni di resistenza delle donne e le pratiche politiche e di lotta che le compagne mettono in campo, ancor di più se in ambito lavorativo quando la lotta contro la violenza sulle donne diventa anche una scelta di professione oltrechè di vita:
Portare a Roma la mostra ci è costato e ci costa fatica ed impegno di tutti i generi - anche economico- , e ci aspettiamo dalle compagne un atteggiamento di sostegno piuttosto che di critica giudicante o di provocazione. Dare per scontato o insinuare che la Mostra abbia contenuti spettacolarizzanti, prima di averla visitata, induce inevitabilmente ad un pregiudizio che non tiene conto della reale consistenza della stessa, vale a dire, di una Mostra che rigorosamente raccoglie testi e reperti preziosi, che restituiscono luce ad una pagina della Storia dell'oppressione e della violenza sulle donne negata alla conoscenza collettiva attraverso un'imponente opera di rimozione.

Lo sportello al CIE di Ponte Galeria e l'edizione del Dossier sulle donne nigeriane trafficate in Libia che in qualche maniera vengono posti tra gli elementi che gettano dubbi sull'organizzazione della mostra sono due attività - tra moltissime altre - che rivendichiamo come profondamente nostre e non contraddittorie.

Realizzare il drop-out center al CIE ci ha consentito di far uscire da quel luogo molte decine di donne - inserite in progetti ex art.18- o di farle scendere dagli aerei che le rimpatriavano, nonché di avere centinaia di contatti continui, strutturati, competenti ed empatici con centinaia di altre. Un' altera ed orgogliosa omissione di azione motivata non illegittimamente dallo status oggettivo del luogo, avrebbe impedito che questo nostro lavoro si svolgesse e che in tante se ne giovassero.

Lanciare la bomba della prostituzione in Libia non è stato un atto privo di coraggio né di conseguenze, dati i rapporti di questo governo con Gheddafi.

Con le stesse modalità e con la stessa motivazione lanceremmo un dossier sulle violenze sulle persone detenute nel CIE di Ponte Galeria, se solo potessimo avere una, almeno una testimonianza in proposito. Sfortunatamente questo fino ad ora non ci è stato dato (anche per ragioni evidenti legate alla paura delle donne di testimoniare, oltre che per la nostra volontà di non sostituirci ad esse, con il palese rischio di metterle in situazioni di pericolo). Non esiteremmo neanche per un attimo ad agire resistenza, denuncia e supporto anche legale alle donne rinchiuse, se potessimo essere supportate da dati oggettivi. Non ci dimentichiamo comunque che essere detenute costituisce già una violenza

Detto questo, noi, donne di movimento da moltissimi anni, vorremmo empatia con le altre donne, e non critiche aprioristiche.

Compagne di BE FREE

Rosetta ha detto...

Ola belle donne, non per fare l'avvocata difensora ma veramente non mi sembra che nell'articolo e anche nei commenti che sono seguiti (a parte l'intervento di Franci mi sembra) si volessero gettare dubbi sulla qualità della mostra o fare critiche aprioristiche, ma solo aprire una discussione e io penso che c'è bisogno di farla perché il momento è difficile e abbiamo bisogno di tutte le nostre forze per fare qualcosa. Però lo sforzo deve essere da entrambe le parti, non si può accusare una di fare critiche non costruttive da dura e pura e chiedere empatia per sé, o no?

Marginalia ha detto...

Care tutte
sono un po' dispiaciuta della piega che ha preso questo scambio tra noi, in particolare gli interventi di Eutyches e delle compagne di Be Free non mi lasciano molti margini. Cosa posso dirvi? Non andiamo da nessuna parte se, al minimo dubbio o interrogativo sollevato da qualcuna, innalziamo barriere e anatemi. Da parte mia la voglia di confrontarsi c'è, non credo di detenere nessuna verità, solo la consapevolezza che è importante (e urgente) agire e che le modalità sono tutte da discutere, giorno dopo giorno. Ma questa discussione (almeno per me) non può esaurirsi qui, dove tra l'altro (per poco tempo e accidenti vari) scrivo sempre frettolosamente

Unknown ha detto...

Rispondo al volo a rosetta e poi torno con più calma.
Il problema non sta nell'empatia, che è fenomeno irrazionale. Il problema sta nell'assioma «donna che lavora nei CIE = collaborazionista contraria alla causa» che, appunto, in quanto assioma non permette discussione. Proviamo a riaprire la discussione facendo un passo indietro. Quali sono i motivi concreti, per voi, per i quali le donne non dovrebbero lavorare nei CIE?

Rosetta ha detto...

Visto che ti rivolgi a me guarda che se avevo tirato fuori il discorso dell'empatia è stato perché ne avevano già parlato altre cioè le donne della cooperativa che lavora nei Cie, l'empatia sono disposta a metterla in gioco ma solo se vale per tutte e aiuta a capirsi. Per il resto sono d'accordo con te che è un concetto irrazionale e poco ci serve ma non sono d'accordo quando dici che il punto è "donna che lavora nei Cie = collaborazionista, perché mi sembra che il discorso mirasse ad altro e se ci fosse stata la volontà di portarla avanti al discussione poteva essere molto produttiva, am alcune come te hanno deciso non so bene per quale motivo di riportare tutto in termini di polemica come spesso succede e questa è la nostra rovina come donne e femministe

Unknown ha detto...

La discussione, la dialettica tra le parti e le persone, prevede domande e risposte. e non soltanto affermazioni e/o prese di posizione. mi pare di aver posto in più di una occasione in questa sede una serie di questioni e di domande, per portare avanti il confronto, proponendo in ultima analisi anche di fare un passo indietro e tornare alla radice del discorso, ovvero alle motivazioni per le quali le donne non dovrebbero lavorare nei cie. tutto ciò, però, è caduto nel silenzio. e questo non dipende esclusivamente da me. né dal mio presunto spirito polemico. se poi dire «sì hai ragione» è confronto (in generale, non mi riferisco nello specifico al post di rosetta), mentre porre domande diverse e provare a fondare in altro modo i termini della discussione è polemica sterile, allora non andiamo molto oltre.

nina ha detto...

discussione molto interessante... credo che l'azione di Befree al CEI sia utile per moltissime donne; nello stesso tempo è innegabile che entra in un rapposto di collaborazione con l'istituzione stessa. Forse bisogna mettere sulla bilancia quanto si 'guadagna' e quanto si 'perde' e poi decidere se ne vale la pena? In questo caso il bilancio mi sembra in attivo ma forse non è sempre così...

Anonimo ha detto...

Ciao a tutte, sono una compagna di Be free che lavora allo sportello all’interno del CIE Ponte Galeria e, anche se un po’ in ritardo, voglio cogliere quest’occasione per confrontarmi spiegando a tutte quello che è il nostro lavoro.
Il nostro sportello nasce come sportello rivolto alle donne vittime di tratta a scopi sessuali, recluse nel reparto femminile del CIE Ponte Galeria in quanto “clandestine”. Il nostro obiettivo è quello di intercettare queste donne, spesso presenze invisibili che popolano i nostri marciapiedi e non solo, per ascoltarle, sostenerle nel racconto e nell’elaborazione dei traumi vissuti ed offrir loro opportunità alternative di vita comprendenti possibilità di regolarizzazione.
Personalmente rispetto e sono aperta al confronto con le donne che dichiarano di prostituirsi e di non essere sfruttate facendolo come libera scelta, ma ci sono molte altre che di scegliere non hanno possibilità ed è con queste che noi lavoriamo, inserendole in programmi di protezione sociale, sostenendole a livello giudiziario e psicologico e accompagnandole in un percorso di riappropriazione della possibilità di autodeterminare la propria vita.
Non credo che nessuna o nessuno possa mettere in discussione l’importanza politica e sociale di questo lavoro.
Se il nostro sportello non esistesse moltissime donne rimarrebbero solo dei nomi e dei numeri nel mezzo di lunghe liste spersonalizzanti, verrebbero coattivamente rimpatriate senza poter aver possibilità di essere viste, ascoltate, sostenute …
A me piace pensare al nostro lavoro come un mezzo per dar voce a queste donne, per lottare con loro affinché vengano riconosciute e vengano garantiti i loro diritti; stare sul campo lottando con le donne e parallelamente creare spazi e momenti di denuncia sociale di scomode questioni sono sempre stati i due binari su cui Be Free si è parallelamente mossa (la mostra di Ravensbruck così come il dossier sulla Libia ne sono un esempio concreto).
I nostri rapporti interni al C.I.E. Ponte Galeria non sono facili né lo sono mai stati visto che il nostro lavoro va a rompere quello che è lo status quo di quell’illegittimo luogo; e proprio per questo è fondamentale esserci ed intervenire per delegittimare “cattive pratiche” che per molto tempo ed ancora oggi drammaticamente sostengono quel sistema: solo per menzionarne una la presenza di avvocati che, come avvoltoi, altro non fanno che spillare soldi alle ragazze per poi lasciarle rimpatriare, o deportare (deportation) come dicono loro stesse, nei loro Paesi d’origine pur sapendo bene cosa là le aspetti.
Rispetto a questo ricordo una delle prime donne che abbiamo seguito che, nonostante avessimo mandato fax e segnalazioni per evitare il rimpatrio, avevano deciso di far salire a tutti i costi su uno dei tanti jet con destinazione Nigeria. Ricordo come se fosse oggi quella mattina che stavano prendendo le donne per caricarle sul jet; lei ci ha chiamate terrorizzata, in sottofondo si sentivano le grida e i pianti delle altre donne …
Bé ricordo ancora come quella mattina tutte insieme unite si sia riuscite ad alzare talmente tanto casino da impedire che almeno lei salisse su quel jet …
Quella donna è stata poi rilasciata dal C.I.E. Ponte Galeria e non scorderò mai l’emozione provata quando ci siamo viste fuori … così come però non scorderò mai le porte che ci sono state chiuse in faccia quando abbiamo disperatamente cercato un centro, un luogo sicuro dove farla stare per evitare che ricadesse in reti di sfruttamento … quasi nessuna/o ci ha aiutate, in molte/i hanno invece chiuso le porte e alzato critiche perché in fin dei conti la donna era pur sempre “una clandestina”.
Ad oggi io rimango orgogliosa di quanto fatto, felice di sapere che lei, nonostante ancora non ci siano risposte per i suoi documenti, stia bene e sia riuscita a mettersi in salvo e colgo quest’occasione per ringraziare tutte/i coloro, compagne e compagni, che hanno creduto e continuano credere nel nostro lavoro mostrandoci solidarietà e rimanendo presenti nei momenti più difficili.

Marginalia ha detto...

Care tutte
complice anche il fatto che è un periodo piuttosto difficile per me avevo deciso di lasciar cadere questa discussione poiché aveva preso una piega che definire di "sterile polemica" è poco (e concordo con Rosetta che questa "è la nostra rovina"). Ma dopo gli interventi di Nina e della compagna di Be Free riprovo a rimettere il discorso sui binari iniziali, che non sono quelli che Eutyches ha riassunto nella formula "donna che lavora nel Cie = collaborazionista" (e mi stupisce che, dopo aver alzato e stravolto toni e termini del discorso Eutyches affermi che "mi pare di aver posto in più di una occasione in questa sede una serie di questioni e di domande, per portare avanti il confronto, proponendo in ultima analisi anche di fare un passo indietro e tornare alla radice del discorso, ovvero alle motivazioni per le quali le donne non dovrebbero lavorare nei cie").
Il problema che ponevo non è la "legittimità" o meno per una donna di lavorare in un Cie, non sono qui per giudicare e tutte sono libere di fare le loro scelte e di assumersene le responsabilità. Innegabile che in alcuni casi (come sottolinea la compagna di Be Free) il lavoro svolto all'interno possa essere utile e prezioso, ma ci sono una serie di "ma" che andrebbero presi in considerazione.
Le domande che proponevo erano altre,anzi precisamente una (copio-incollo):
"E mi interesserebbe anche (e soprattutto) sapere /discutere (non ho trovato traccia in rete di riflessioni di questo tipo) come le organizzatrici italiane (che operano con la loro cooperativa nel Cie di Ponte Galeria a Roma) si pongono , a partire dalla loro esperienza, rispetto "all'oggetto" della mostra"
Nessuna ha neanche lontanamente provato a rispondere su questo, ma forse chiedevo decisamente troppo in un momento nel quale siamo tutte sulle "difensive", incapaci di metterci (e mettere) in discussione percorsi e pratiche. E' abbastanza triste, tra l'altro.
Prometto di ritornare presto sull'argomento in maniera puntuale e più dettagliata con un altro post, dove con chi è interessata riprovare a riprendere la discussione

Unknown ha detto...

Le discussioni nei blog inevitabilmente prendono pieghe inattese, perché scrivere in rete è lanciare un sasso nello stagno, non sai mai chi e cosa torna su. È il bello e il brutto di un gioco che è estremamente plurale e che amplia o approfondisce i termini delle questioni. Altrimenti uno si apre un bell'account su tumblr, dove non si può commentare, solo ri-postare le notizie o elargire like a iosa agli amici.
Sarò io poco avvezza a certe forme di retorica, ma sinceramente, non capisco il senso della domanda che viene posta ancora una volta (che era caduta nel nulla proprio perché le questioni che si erano aperte erano altre. e non l'ho fatto io in prima battuta). Ovvero, mi pare evidente, ai limiti della tautologia, il fatto che chi si interessa di tratta e prostituzione forzata oggi possa aver desiderio di mostrare altri esempi storici di prostituzione forzata. Come si porranno mai dentro Be free? È una denuncia dell'una e delle altre. Starò alzando ancora i toni (se puntualizzare e dissentire è alzare i toni, allora sono felice di farlo), ma non mi pareva il caso di troncare la discussione proprio subito dopo che una persona ha parlato della sua esperienza diretta nei CIE. Che non mi è parsa affatto banale. A partire da quella si potevano fare ulteriori considerazioni. Tanto per rimanere sul tema dell'impossibilità di confronto tra le donne.

Unknown ha detto...

Aggiungo, al panorama complessivo continuano a mancare i "ma" che andrebbero presi in considerazione. Sui quali, appunto, avevo provato a sollecitare una discussione.

R ha detto...

Scusa Vincenza, forse non è il periodo giusto, ma effettivamente c'è bisogno di uno sforzo di chiarezza: la questione che si è posta[1] ovvero come si pongono le donne di Befree sulla prostituzione forzata, mi sembra retorica davvero: come vuoi che si pongono? Io l'ho scritto sopra, è facilmente intuibile che la condanna sia assoluta e decisamente sentita. Vogliamo una conferma scritta e autografata. Si può fare!!! =) In un certo senso viene da chiedersi che domande sono. Se invece il piano si sposta , e lo ha fatto chiaramente Franci con le testuali parole: "Secondo me inutile girarci intorno: ma come possono delle donne lavorare oggi in un Cie con attività rivolte anche agli aguzzini? Mi sembra contraddittorio fare le mostre sulle violenze subite dalle donne nei campi di concentramento nazisti e poi non dire una parola su quelli attuali." Beh, sinceramente dal mio punto di vista a queste affermazioni le risposte sono state fin troppo gentili e pacate. Dopo-di-chè , ripeto , siamo alle solite -sul piano che proppone franci (come fanno le donne a lavorare nei cie?), le mie proposte sono:
A-andare a vedere che si fa, che succede e che comporta
B-oltre a lavorare dentro ai cie, a manifestare fuori e cercare di far girare le info cosa possiamo pensare di concreto? Facciamo uno sforzo immaginativo insieme ?(anche in rete che se aspettiamo assemblee...le farò con le nipotine). Franci che dice? Tira il sasso e guarda le onde? Senza polemica, ma siamo adulte e non possiamo non saper gestire le discussioni, anche se virano in toni e temi che non condividiamo.

[1]:"E mi interesserebbe anche (e soprattutto) sapere /discutere (non ho trovato traccia in rete di riflessioni di questo tipo) come le organizzatrici italiane (che operano con la loro cooperativa nel Cie di Ponte Galeria a Roma) si pongono , a partire dalla loro esperienza, rispetto "all'oggetto" della mostra"]

Marginalia ha detto...

Per R (Rho o Rosetta?): Visto che posso parlare solo per me e non per altre (Franci se avrà voglia interverrà, altrimenti non sto qua a giudicare della sua "adultità" e "capacità" di gestire le discussioni"), indipendentemente che sia un momento più o meno buono (e non lo è, ma lasciamo perdere), cosa credi che posso dire se liquidi (non solo tu) la domanda che ponevo come retorica "retorica", anzi, come specifichi "In un certo senso viene da chiedersi che domande sono"? Da parte mia non era retorica. E ovviamente (per me) la domanda sul "come si pongono" non era nei termini di "condanna o meno dei Cie" ...

Rho ha detto...

=) eh ehe eh...ero io, rho..è che tanto per cambiare ho pasticciato nell'inviare commento! Assolutamente concordo con Marginalia nel dire che non è un "buon periodo", atch! =( E sono ovviamente d'accordo che nessuna deve spiegare per altre: non chiedo a nessuna di fare la "mamma" (ci mancherebbe =D )! Per il resto, visto che probabilmente io ed altre (chi per un verso chi per un'altro) abbiamo frainteso e/o mal interpretato la questione che poneva Vincenza, sarebbe utile un'ulteriore descrizione della cosa: solo capendo qual'è realmente l'argomento e i termini di discussione si può discutere!! (sono un genio, eh??!) =) Facciamo quindi un passo indietro ed uno avanti: di cosa stiamo parlando? Credo che a tutte interessa un confronto costruttivo sulle lotte, sulle pratiche e la presenza delle compagne (tutte) nel concreto. E il fatto che ci sia questa pagina a disposizione, mi sembra una ricchezza da usare, uno strumento che ci permette di avere anche un "agio" discorsivo rilevante. Il fatto che possiamo prenderci del tempo per ragionare e poi tornare con un contributo non mi sembra roba da poco. Un abbraccio, rho.

Anonimo ha detto...

E 'vero! Mi piace la tua idea. Offerta di mettere una discussione generale.
E 'vero! Mi piace questa idea, sono pienamente d'accordo con te.